In epoca carolingia la milizia a cavallo fu particolarmente
onorata per il suo decisivo ruolo in battaglia. Il titolo di
cavaliere venne quindi associato alla nobiltà sia di censo,
grazie al godimento del "beneficio" feudale, sia di
animo. In concomitanza con l'epopea delle crociate, a partire
dall' XI secolo in Provenza, in Normandia e nelle Fiandre presso
questo ceto guerriero si sviluppò una cultura in cui,
espressi anche in alta forma letteraria, si combinavano qualità
aristocratiche, virtù cristiane e amor cortese: il cavaliere
doveva essere coraggioso, leale e generoso e mettere la sua spada
al servizio dei poveri. Alla corte di Tolosa si sviluppò l'idea
che il cavaliere dovesse amare e servire una dama in modo
idealizzato, secondo un codice formale che si diffuse tra le
persone colte anche al di fuori del ceto cavalleresco, come alla
corte di Federico II a Palermo e presso la borghesia dei Comuni
italiani nel XIII e XIV secolo. Il declino dell'ordine cominciò
con la sconfitta subita nel 1415 dalla cavalleria francese a
opera degli arcieri inglesi ad Azincourt e divenne irrimediabile
con l'avvento dell'artiglieria. Ciò tuttavia separò
definitivamente il "codice cavalleresco" dal rango
militare e nobiliare, trasformandolo in costume personale,
collegato più alle qualità dell'animo e all'educazione che ai
titoli e alle disponibilità economiche.